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Spesso davanti a un disagio o un disturbo psichico ci si chiede se andare da uno psicologo per un sostegno oppure rivolgersi a uno psichiatra per valutare un supporto con degli psicofarmaci.  La psicologia e la psichiatria sono due branche della cura ben distinte. La psicologia si occupa di fornire una valutazione, sostegno e prevenzione per la salute e il benessere; la psichiatria ha competenze per la diagnosi, la prevenzione e la riabilitazione per le psicopatologie più gravi e lo psichiatra, essendo un medico, può prescrivere farmaci, nonché richiedere e valutare esami clinici. 

Negli ultimi anni in Italia, così come anche in altri paesi occidentali, c’è un incremento dell’utilizzo di psicofarmaci, quali ansiolitici e antidepressivi. Sul sito dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) è possibile trovare il ‘Monitoraggio sull’uso dei farmaci durante l’epidemia Covid-19’ dai quali emergono i dati dell’incremento del consumo di psicofarmaci in conseguenza, evidentemente, di un aumentato il livello di ansia e di stress che viene vissuto in conseguenza di un disagio psichico.

Con gli sviluppi della ricerca scientifica e i progressi della psichiatria, c’è una propensione verso una lettura biologica dei problemi psicologici che tende a considerare i fattori genetici e biochimici come responsabili di influenzare umore e personalità. Pertanto, se la depressione avrebbe solamente una causa biologica, l’unica soluzione sarebbero i farmaci, ma questa visione, come sostiene Robert Whitaker nella sua opera ‘Indagine su un’epidemia. Lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci’, potrebbe essere riduttiva in quanto non si considera più la persona, il suo quadro clinico generale, i suoi rifermenti familiari e il suo ambiente. Il timore della solitudine, accentuato forse anche da un uso eccessivo dei social e delle relazioni virtuali, le incertezze sul futuro, la difficoltà di fare progetti a lungo termine, la mancanza di garanzie, il terrore di sbagliare e la necessità di essere perfetti e performanti possono minare gravemente la stabilità psico -emotiva di un individuo. Anche sulla base di queste considerazioni, una parte della psicologia invita a riflettere su un uso responsabile degli psicofarmaci; ricorrere ad un farmaco può portare dei vantaggi nel breve periodo, in quanto può essere più rapido e semplice che cercare le cause psicologiche a determinati disturbi, ma potrebbe comportare una deresponsabilizzazione soggettiva dei pazienti. 

Molti psichiatri e psicoterapeuti, soprattutto di impostazione analitica, ritenendo che la depressione e altri disturbi sono costitutivi dello sviluppo psichico, ritengono che questi potrebbero avere un’evoluzione benigna e regredire in qualche mese. Quando si registra il persistere dei sintomi e situazioni di psicopatologia più gravi, è consigliabile il parere di uno psichiatra e, a volte, un intervento sinergico tra i farmaci e la psicoterapia può essere proficuo, in quanto alleviare la sofferenza psichica con i farmaci può contribuire a costruire la necessaria alleanza terapeutica, avviando un percorso di consapevolezza che può aiutare a stare meglio.

Breve illustrazione delle caratteristiche di questa tipologia di farmaci.

I tranquillanti sono farmaci per il trattamento dei disturbi d’ansia generalizzati, attacchi di panico, fobie, disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi da stress post-traumatico. Si tratta di benzodiazepine, o derivati benzodiazepinici, che agiscono sulla paura e, conseguentemente, attenuano il livello di allerta. Le benzodiazepine inducono un effetto di calma, tendono a dare dipendenza e assuefazione (progressivamente con l’assunzione serve un dosaggio più alto per avere lo stesso effetto), per cui in genere sono somministrate per brevi periodi. 

Gli antidepressivi hanno effetto sulla depressione. Quasi tutti gli antidepressivi agiscono sui neurotrasmettitori, le sinapsi chimiche che assicurano la comunicazione tra un neurone e l’altro. I farmaci antidepressivi operano a livello della ricaptazione dei neurotrasmettitori: ad esempio, non si somministra della serotonina, ma si permette che la serotonina esistente agisca di più e più a lungo. Gli antidepressivi, per iniziare ad avere effetto, impiegano dalle due alle tre settimane. Quando comincia l’effetto è consigliabile che la cura continui per almeno sei mesi e quando si decide di sospenderla il dosaggio deve essere lentamente ridotto. 

I neurolettici, denominati anche tranquillanti maggiori, sono sostanze ansiolitiche che riducono il rilascio di un neurotrasmettitore, la dopamina. Hanno un’azione sedativa e ansiolitica e si usano come stabilizzatori dell’umore, nei disturbi d’ansia, per gli stati psicotici e ossessivi. Questa categoria di farmaci ha un rapido effetto, entro poche ore dall’assunzione, sull’agitazione e sull’ansia; la loro azione nei confronti dei disturbi psicotici, richiede tempi più lunghi, dalle due alle quattro settimane. Anche per i neurolettici la terapia non deve essere sospesa bruscamente, per evitare l’effetto rebound, per il quale si manifestano nuovamente i sintomi della patologia, che si verifica quando la sospensione o riduzione del dosaggio del farmaco avviene in maniera brusca. 

Gli stabilizzatori dell’umore sono dei farmaci che agiscono sulle alterazioni del tono dell’umore, sono indicati per la prevenzione e la cura degli episodi maniacali e depressivi in quanto sono in grado di dare una regolarizzazione nella labilità dell’umore. Gli stabilizzatori dell’umore si usano per la disorganizzazione del comportamento, hanno effetto sulla difficoltà del soggetto di controllare gli impulsi, come in casi dell’instabilità emotiva, aggressività, iperattività.